Le differenze molto marcate tra gli ordinamenti fiscali nazionali in materia di tassazione del reddito d’impresa rappresentano da decenni un ostacolo alla piena integrazione del mercato unico europeo.
Gli interventi finora compiuti, in termini normativi e giurisprudenziali, hanno corretto alcune storture (soprattutto riguardo alle imposte indirette e in generale con l’obiettivo di abbattere i principali ostacoli alla concorrenza).Tuttavia, l’evoluzione tecnologica e l’assenza di barriere alla libertà di circolazione dei capitali e di stabilimento nel territorio dell’Unione incentivano sempre più lo sfruttamento di vantaggi fiscali in un ordinamento o in un altro, l’arbitraggio normativo e l’erosione della base imponibile.
Tutto questo non solo crea tensioni politiche tra Paesi e opinioni pubbliche, ma contribuisce a ridurre la trasparenza dei sistemi fiscali e avvantaggia le imprese più grandi rispetto alle imprese di dimensioni minori, nonché le aziende dei settori immateriali rispetto ai comparti più tradizionali.
D’altro canto, come dimostra l’esperienza consolidata degli Stati Uniti, un certo grado di competizione fiscale tra gli Stati è un positivo fattore di efficienza politico-amministrativa e di moderazione delle pretese fiscali nei confronti dei contribuenti.
In più, in assenza di una politica fiscale UE più importante e incisiva, gli Stati usano comprensibilmente la loro autonomia normativa fiscale per intervenire in modo circostanziato e selettivo in caso di crisi e di problemi specifici della loro economia nazionale.
Per cercare di superare questa contrapposizione tra esigenze di armonizzazione e competizione fiscale nel campo delle imposte dirette, e superare l’indisponibilità dei Paesi a tassazione più bassa (che vedono ogni forma di uniformazione come una richiesta di aumento del carico fiscale e dunque di riduzione di competitività), una via mediana può essere l’adozione del principio della cosiddetta “common consolidated base taxation”.
Si tratta dell’applicazione di una base imponibile per il reddito d’impresa determinata secondo regole comuni europee, che si sostituirebbero alle regole nazionali. Ai singoli Stati resterebbe la piena libertà di determinare le aliquote di imposta, lasciando dunque in piedi un modello competitivo trasparente e uniforme, che premia i Paesi capaci di tenere basse le imposte senza però creare fenomeni distorsivi ed elusivi sulle basi imponibili.
Con regole comuni sulla determinazione dell’imponibile, sarebbe eliminato il fenomeno dei cosiddetti “stateless income”, e cioè quelle forme di reddito d’impresa che – grazie a strategie di cosiddetta “ottimizzazione fiscale” da parte di imprese transnazionali – finiscono per non essere soggette a nessuna imposizione statale.
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Tutto ciò premesso, chiediamo che le istituzioni dell’Unione e i governi degli Stati membri, a partire da quello italiano, elaborino una proposta normativa relativa ai redditi e ai profitti di impresa sul territorio dell’Unione, che conciliando il principio di competizione e sussidiarietà fiscale con l’obiettivo di eliminare le distorsioni alla concorrenza e i fenomeni di elusione ed erosione fiscale, uniformi a livello europeo le regole sulla determinazione delle basi imponibili, lasciando agli Stati la determinazione delle aliquote d’imposta.